Il Mito…condrio – I

 

Parte 1: Teoria e metodologia dell’allenamento aerobico per prestazioni di Endurance

 

Nel campo delle metodologie di allenamento la ricerca è continua, incessante; porta non difficilmente a verità sconvolgenti che sembrano però poter essere spesso smentite.

L’’esperienza sul campo, per una scienza strettamente legata ad un’entità così complessa e unica come l’essere umano, non può che avere un ruolo fondamentale nella costruzione ed elaborazione di teorie e metodologie.

La soggettività dell’uomo e di conseguenza dell’atleta porta a continui dibattiti ed alla nascita di  correnti di pensiero spesso agli antipodi, che sembrano portare ad ottimi risultati pur percorrendo strade differenti.

Per cercare di fare chiarezza ritengo fondamentale non imporre dogmi o verità assolute, ma portare ognuno a ragionare ed a trarre le proprie conclusioni, a seguito di un’analisi logica e razionale delle premesse teoriche e sperimentali.

Il fondo lento, la base aerobica del runner e del triatleta, costituisce le fondamenta della piramide della prestazione.

La definizione di allenamento aerobico o regime aerobico, per un qualsiasi atleta amatore o di elitè, non è semplice né immediata.

 Normalmente si tende ad associarlo a valori di frequenza cardiaca, ricavati per forza di cose da test eseguiti in determinate condizioni psico-fisiche, difficilmente riproducibili in test successivi; secondo altri l’associazione corretta è  con le sensazioni dell’atleta stesso durante l’allenamento, che però  risultano a volte beffarde, in particolar modo per un atleta amatore la cui vita è contornata da impegni e situazioni stressanti che influiscono costantemente sulla condizione psico-fisica dell’allenamento.

Il range aerobico, perchè di range si tratta, presenta un limite inferiore dove il corpo tende a  rigenerarsi, incrementando la circolazione sanguigna ed eliminando radicali e scorie, ed un limite superiore dove l’organismo può “adattarsi” allo stress allenante costruendo e rafforzando le strutture responsabili della prestazione di endurance quali sistema cardio-circolatorio, sistema respiratorio ed apparato muscolare.

La chiave per avere un significativo miglioramento di performance negli sport di endurance è migliorare i meccanismi corporei che utilizzano l’ossigeno (aerobici) per la produzione di energia, sia a livello centrale che periferico.

A livello centrale come conseguenza allo stimolo allenante, incrementano la dimensione e la robustezza delle pareti del cuore, in modo che ad ogni gittata cardiaca venga inviato un maggior quantitativo di sangue ossigenato in circolo per soddisfare la richiesta energetica dei tessuti muscolari coinvolti nel gesto atletico; come conseguenza diretta si nota un abbassamento della frequenza cardiaca a riposo e sotto sforzo, mentre la frequenza cardiaca massima dipende dall’età ed è un fattore genetico che non può essere condizionato con l’allenamento. Attraverso l’utilizzo durante l’allenamento aerobico della corretta respirazione diaframmatica, incrementa l’efficienza del sistema respiratorio e la Capacità Vitale, ovvero la differenza tra il volume di aria corrispondente alla massima inspirazione e quello corrispondente alla massima espirazione.

 

Gli adattamenti maggiori all’allenamento, quelli su cui si ha ampio margine di miglioramento, sono però a livello periferico. Si agisce in questo caso su due fronti: sulla capillarizzazione nel tessuto muscolare, che durante l’attività favorisce lo scambio ossigeno-prodotti di scarto tra cellule muscolari e sangue, e sull’incremento del numero, della grandezza e dell’efficienza (attraverso una incrementata attività enzimatica) dei mitocondri, vere e proprie centrali di produzione di energia attraverso i meccanismi aerobici responsabili della respirazione cellulare nel tessuto muscolare.

I mitocondri si alimentano e producono energia attraverso il ciclo di Krebs, che per innescare le reazioni di contrazione muscolare utilizza l’ossigeno prelevato dal sangue come comburente ed il glucosio come combustibile. I mitocondri possono essere alimentati anche attraverso tipi di combustibili differenti: gli amminoacidi provenienti dalla degradazione di proteine muscolari (catabolismo) e gli acidi grassi provenienti dalla degradazione dei grassi saturi; i grassi poli-insaturi tendono invece ad avvelenare il mitocondrio influenzandone negativamente l’attività.

La via principale e più efficiente risulta quella del glucosio,  il cui utilizzo è però legato alla sua presenza nel sangue, nei depositi muscolari ed epatici (sotto forma di glicogeno) ed al condizionamento del metabolismo ad utilizzarlo come fonte primaria di energia.

Ultimo fattore, ma non per ordine di importanza, migliorabile attraverso l’allenamento, è psicologico e riguarda la gestione dello sforzo e la sopportazione della fatica.

In una attività fisica di endurance, conosciamo varie intensità sostenibili a seconda della durata della performance. In partenza vengono attivati per la maggior parte i meccanismi aerobici, ed in minima parte i meccanismi anaerobico alattacido e anaerobico lattacido a supporto

Importante: i tre meccanismi di produzione dell’energia (anaerobico alattacido, anaerobico lattacido e aerobico) si attivano sempre in parallelo; a seconda del tipo di sforzo e della sua intensità verrà coinvolto in maniera maggiore il meccanismo dei tre più adatto a soddisfare la richiesta.

Non sempre ad elevate intensità il meccanismo aerobico riesce a gestire da solo la produzione di energia necessaria a soddisfare la richiesta; in quel caso subentra in maniera significativa la componente anaerobica lattacida a supporto, che produce energia attraverso la degradazione dell’acido lattico,  senza l’utilizzo dell’ossigeno. Fin quando il corpo è in grado di smaltire velocemente l’acido lattico prodotto senza che questo si accumuli esponenzialmente nel sangue, non si nota una perdita di performance; l’intensità massima di sforzo in cui la produzione di acido lattico è smaltita parallelamente dalla circolazione sanguigna, senza quindi che vi sia un accumulo significativo di scorie acide nel muscolo, è sostenibile per periodi di tempo vicini all’ora, e viene definito soglia anaerobica; è essenziale precisare che in tali condizioni il meccanismo aerobico non ha saturato le proprie possibilità di produzione di energia. Incrementando ancora l’intensità dell’esercizio e la richiesta energetica il meccanismo aerobico giunge a saturazione, e viene quindi messa in circolo nel sangue la maggior quantità di ossigeno che il sistema cardiocircolatorio è in grado di gestire, mentre il meccanismo anaerobico lattacido incrementa parallelamente la sua attività: si accumula esponenzialmente acido lattico nel sangue e questo porta la fibra muscolare ad intossicarsi e perdere efficienza e performance col trascorrere dei minuti. Si parla in questo caso di massimo consumo di ossigeno (VO2max), regime teoricamente sostenibile per brevi periodi di tempo (intorno ai 10′).

Per l’atleta di endurance si deduce l’importanza e la necessità di riuscire a protrarre uno sforzo di lunga durata ad intensità inferiori alla soglia anaerobica; risulta  importante avere un massimo consumo di ossigeno elevato, ma allo stesso tempo risulta essenziale utilizzarne una percentuale elevata ad intensità inferiori alla soglia anaerobica, in modo che la performance rimanga costante nel tempo. Per questo un obiettivo fondamentale dell’allenamento di resistenza è l’innalzamento della percentuale di VO2max sostenibile in regime di soglia.

Attraverso l’allenamento aerobico a bassa intensità e volume elevato di carico, associato alla respirazione nasale (inspirazione ed espirazione esclusivamente dal naso) durante l’esercizio, si potenzia la capacità di utilizzo dell’ossigeno e  la tolleranza all’anidride carbonica, oltre a garantirne la presenza nei tessuti in quantità adeguate a garantire lo scambio gassoso con l’ossigeno del sangue in maniera efficiente a soddisfare la richiesta.  Durante attività di endurance, si riduce la necessità del corpo di richiedere energia al meccanismo lattacido conseguentemente ad un miglior scambio gassoso tra sangue e tessuti , ottenendo così uno spostamento della soglia anaerobica verso l’alto, con la possibilità che raggiunga  percentuali elevatissime del VO2max.

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