
Ci sono progetti e ambizioni che hanno bisogno di tempo per trovare il proprio spazio in una vita già molto caotica e piena di impegni. A volte anni.
Amo fare le cose in maniera strutturata, al meglio delle mie possibilità sotto ogni punto di vista: atletico, professionale, organizzativo, comunicativo.
Ma a volte quel richiamo di ignoto, di “estremo”, di mettere in campo tutte le proprie forze e cercare il limite per una ambizione, un desiderio, è più forte di tutto il resto.
E così è nata la mia “avventura”, il mio winter Ultracycling tour: un progetto pilota, piuttosto improvvisato, organizzato con poco tempo e senza basi solide, ma con immenso entusiasmo, passione e determinazione. Per gettare le fondamenta di un progetto professionale molto ambizioso, ben più grande, sul quale i lavori procedevano già da mesi ormai con Sandra.
Ma veniamo a noi. L’idea embrionale: dal cancello di casa (Tivoli, RM) al nord Italia, nel minor tempo possibile, in bici da corsa, in completa autosufficienza.
La prima idea: ho amici sparsi in Italia che fatico a vedere, perchè gli impegni di tutti sono difficili da conciliare con la distanza. Quindi perchè non passarli a trovare in bicicletta?
Così si delineano le prime tappe:
- Roma-Assisi. L’amico runner Gianni Furiassi mi dice da tempo che sarò suo ospite quando sarò in zona, per scambiare due chiacchiere (podistiche, ovviamente!).
- Assisi-Modena. Mia sorella Flavia vive li da anni ormai: quale miglior occasione per stare qualche ora insieme?
- Modena-Torino. Ormai penso di avere più amici che si sono trasferiti a Torino di quelli che sono rimasti a vivere a Roma. Uno in particolare, Emiliano, ha aperto da qualche mese la sua pizzeria Margherì: desidero fortemente andare a fargli visita, gli auguri, e a svuotargli il bancone ovviamente! Inoltre c’è il mio collega di lavoro in bicilive.it, Davide, con il quale tra l’altro sto progettando collaborazioni interessanti, che si propone con enorme gentilezza di ospitarmi a casa sua. C’è anche la dottoressa Arianna a Torino…non si sa mai eh, ma può far comodo (ovviamente si scherza, c’è sempre grande piacere a incontrare gli amici di adolescenza); quindi contatto anche lei per una birra e un pezzo di pizza insieme (una teglia di pizza in realtà!).
Sembra quasi tutto perfetto: coincidenze quasi astrali. Partenza prevista il 2 Gennaio, al rientro da Capodanno in montagna. Unico periodo quello delle feste in cui con semplicità (nemmeno troppo in realtà!) posso riuscire a staccare la spina avvantaggiandomi un po di lavoro.
Rientro previsto in treno da Torino, massimo il 6 Gennaio, che poi si riparte full immersion con il lavoro!
Be, allora è fatta! Basta aprire Komoot e tracciare il percorso inserendo i punti di interesse scelti.
Lo ammetto, l’idea è di fare il tour no stop o comunque fermandosi il minor tempo possibile…ma alla prima esperienza di ultracycling è meglio “pararsi il ….” e approcciare con umiltà e sicurezza; male (o bene) che vada, starò un paio d’ore con gli amici chiamati in causa per poi ripartire appena ricaricate le pile, senza soste notturne o lunghe.
Sembra tutto impostato alla perfezione, ma lo spirito di avventura, di sfida, è sempre più forte (e folle) della razionalità: una tappa di montagna non ce la metti? Delle mie adorate montagne?
Assolutamente si!
E allora aggiungo la quarta tappa: Torino-Sestrierè-Torino.
Un sera qualunque sotto Natale incontro il mio amico Giuseppe Felici per una birra; Giuseppe è sempre grande appassionato delle mie avventure e una grande mente creativa. Chiacchierando gli faccio presente l’idea, e la sua prima (e immediata) risposta è: “A sto punto, supera il confine e arriva in Francia no? Vuoi mettere la soddisfazione di valicare il confine e toccare una seconda Nazione?”
Ovviamente, io non è che penso “questo è folle, già devo fare 850km e mi propone di allungare”, ma colgo la palla al balzo e vado immediatamente a cercare sulla mappa il confine Francese più vicino a Sestriere. Monginevro: un’altra salita da 8km, anche bella incazzata direi, ma un solo valico e 20km totali in più.
Rettifico la quarta tappa:
4. Torino – Pinerolo – Sestriere – Monginevro – Olux (dove c’è la prima stazione utile per prendere il treno per Torino).
Sono pronto!

Da qui inizia una avventura entusiasmante, distruttiva, esaltante e a tratti titanica (per la mia percezione ovviamente), difficile e a tratti “portatrice di ansia”, ma capace di farti sentire in un attimo il padrone del mondo. E’ impossibile descrivere i momenti, le emozioni, i paesaggi, gli incontri, i pensieri, le difficoltà e le gioie di 76 ore trascorse in giro per la bella Italia, di cui 36 ore di pedalata effettiva in sella alla mia bici da corsa, la mia adorata compagna di tante avventure e gare.
Ma voglio mettere in risalto quelle che per me sono state a livello “tecnico” le maggiori difficoltà, gli spunti di riflessione costruttivi e i momenti più rappresentativi; insomma i punti focali di questo viaggio.
- L’ultracycling (come tutti gli sport che iniziano con “ultra” d’altronde) è qualcosa di entusiasmante ma allo stesso tempo estremamente difficile, oltre che dal punto di vista atletico sotto l’aspetto mentale e organizzativo.
La componente atletica è fondamentale, non scherziamo! Una corretta metodologia di allenamento e una preparazione fisica, frutto di ore e ore di dedizione, passione, determinazione e sudore. Si, avete letto bene! Non nomino fatica e dolore perchè per me lo sport è altro: nonostante la fatica nello sport di endurance esista, per carità, a mio avviso si trasforma nel giusto “godimento” quando le cose vengono preparate con i giusti criteri, consapevolezza e sostenibilità.
Ma la testa va oltre.
Il corpo del miglior atleta a livello mondiale senza testa non sarebbe in grado di percorrere nemmeno 10km; la miglior testa, determinata e focalizzata sull’obiettivo, messa su un corpo impreparato o mal preparato, potrebbe percorrerne almeno il triplo di quello che si pensa essere il limite. Certo, in quest’ultimo caso a livello fisico si pagherebbe un conto salato a posteriori o addirittura durante la “prestazione”.
Quindi a livello tecnico mi sento di dire che il corpo va allenato e tanto, ma la testa di più. Come?? Qualche spunto lo vedremo più avanti. - Le parti organizzativa e logistica, di preparazione e scelta del materiale, di pianificazione del percorso, vanno affrontate con cura e dedizione: con la stessa passione con cui si affrontano le ore in sella. Perchè la preparazione è parte integrante del viaggio. Quel desiderio di attesa che anche Leopardi nominava nel “Sabato del villaggio” è forse uno dei momenti più belli da vivere e da non lasciarsi scappare.
- La logistica richiede esperienza. E’ fondamentale documentarsi, provare, ricercare, leggere e chiedere con il giusto anticipo: perchè da inesperto ogni cosa richiede almeno il triplo del tempo di quello che a primo impatto si potrebbe pensare.
In questo punto voglio ringraziare di cuore tutti gli sponsor tecnici per il supporto: perchè l’equipaggiamento necessario è davvero tanto e a mio avviso deve essere scelto secondo criteri di qualità, a maggior ragione quando si affrontano progetti dove la sicurezza diventa fondamentale. - E’ difficile, molto più di quello che pensassi, seguire una traccia gps preparata a tavolino per così tanti km, in luoghi sconosciuti. Il rischio di sbagliare strada è dietro l’angolo: si allunga sempre di qualche decina di km rispetto al tracciato previsto (e quando sei al limite della sopportazione questo non è affatto motivante e piacevole a livello fisico).
Ho trovato nell’applicazione Komoot un fedele alleato: consente di tracciare il percorso specifico (per bici da strada, cicloturismo, Mtb, running, escursionismo, alpinismo e chi più ne ha più ne metta) e di seguire una navigazione offline con tanto di voce guida che da le indicazioni (e spesso fa pure compagnia nei momenti di totale sconforto!)! - Vedere facce amiche (indubbiamente le tappe serali da amici e persone davvero care hanno fatto la differenza nella motivazione a ripartire il giorno successivo!) e incontrare persone disponibili e pronte a regalarti un sorriso è fondamentale durante un viaggio così lungo e pieno di difficoltà. Anche una sosta al bar con un/una barista pronta a scambiare due chiacchiere può cambiarti la giornata…o almeno i 50km successivi una volta tornati in sella!
- Quando l’euforia è alle stelle, anche la salita più dura (Sestriere) può sembrare pianura. Anche le temperature più ostili (-5 gradi a Monginevro alle 17:00 del 5 Gennaio, quando ho toccato il confine Francese dopo 75 ore dalla partenza) possono generare un fuoco interno.
Quando arriva la crisi, anche il falsopiano in discesa può diventare un insormontabile Mortirolo e una temperatura mite di 10 gradi centigradi generare brividi, nemmeno fosse Capo Nord. - Pedalare sulla neve senza copertoni specifici da neve ti costringe a frenare con i piedi, a tornare a casa senza tacchette e a far incazzare Cicli Antonelli perche per cambiarle deve segare le viti!
- Un copertone di ottima qualità, predisposto per l’endurance, adatto al tipo di percorso e di stagione in cui si affronta l’avventura, può cambiare il viaggio. Ringrazio Cycletyres per avermi fornito i Pirelli P04S, (di cui a breve pubblicherò il test dettagliato su questo blog), grazie ai quali non ho mai bucato nè avuto alcun tipo di difficoltà su ogni tipo di asfalto (neanche sulla neve sciolta per strada, con un po’ di attenzione e velocità molto ridotta).
Dopo tutte le premesse finalmente sto per raccontare qualche aneddoto della mia avventura in sella.
Intanto per i più “ingegneri” qualche dato.
🇮🇹 Dopo 76 ore, di cui 34h pedalate effettive, circa 820km percorsi e 7500m di dislivello positivo superati (6500 il dislivello negativo) ho superato il confine 🇫🇷
- Potenza: 140Watt medi, 170Watt NP
- Cadenza media: 71rpm
- Frequenza cardiaca media: 140bpm
- Velocità media: 24,1 km/h
- Consumo energetico totale: circa 28600 kcal
Con molta paura, qualche ritardo per scegliere il minimo indispensabile da portare con se (comunque più di 10kg di carico, essendo anche inverno pieno!) e sistemarlo sulla bici nel migliore dei modi (queste cose richiedono sempre il triplo del tempo previsto, specie le prime volte), alle 13:15 di Giovedì 2 Gennaio inizio a pedalare da fuori casa mia, a Tivoli.
Partenza agevole sulle strade di casa, con un cielo terso, un sole caldo e un clima mite: i primi 50km passano veloci in compagnia di Sandra che mi scorta fin sulla Salaria, a circa 50km da Rieti.
Ci separiamo e li inizia il vero viaggio, in autosufficienza, da solo con me stesso.
Trascorro le prime ore in solitudine a pensare a quanto sia “folle” quello che sto affrontando, che forse è oltre le mie possibilità: “ma vabbè”, ripeto a me stesso, “male che vada ho la mia carta di credito e di stazioni di treni ce ne sono a sufficienza lungo il percorso per decidere di tornare indietro. Proprio alla peggio”, penso, “mi toccherà discutere con i controllori per via del trasporto della bici sui mezzi pubblici”, che in Italia è ahimè ancora utopia!
Prime salite, prima fatica; sono sempre più convinto che sarà estremamente dura…sono solo a metà della prima tappa. Ma non perdo il focus e la determinazione, penso positivo. Mi rilassoe sfrutto il tempo per prendere confidenza con i bagagli: guidare la bici con tali zavorre sembra davvero difficile, e l’equilibrio è molto instabile nemmeno fosse una gara di ciclocross contro Van Der Poel: voglio le rotelle!!
Ma come sempre, è una questione di esercizio e adattamento. Tant’è che dal mattino del secondo giorno in poi dimentico completamente di avere una zavorra da 11kg dietro la sella a farmi compagnia.
La zavorra mi ricorda che esiste, anche in maniera piuttosto prepotente, su qualche salita in Appennino, dove il dislivello e le quote raggiunte non sono mostruose ma le pendenze in alcuni tratti superano abbondantemente il 10% per qualche (pochi per fortuna!) km consecutivo. Ah dimenticavo, anche quando alla fine della terza tappa, a 500m dall’obiettivo della giornata, la borsa posteriore decide di sbilanciarmi lateralmente su una rotonda viscida e umida (fortunatamente a velocità prossima allo zero), facendomi salutare da vicino l’asfalto (che non è mai morbido purtroppo, nemmeno al nord Italia!). Me la cavo con due bei lividi, qualche escoriazione a gomiti e bacino e un antivento bucato.
Ma torniamo al viaggio.
Cala la notte del primo giorno, e sono ancora a Rieti; altri 100km da affrontare per concludere la prima tappa. Ho pedalato più di qualche volta di notte nelle vicinanze di casa, su percorsi battuti e ri battuti; ma non è la stessa cosa. Inizia il freddo, iniziano le strade di campagna nel nulla cosmico; inizio a testare il funzionamento delle luci (che da inesperto non avevo mai provato prima) sperando che la batteria risponda realmente alle specifiche di durata dichiarate dalla casa produttrice. Ho comunque due powerbank con me per le ricariche e la luce frontale sul casco.
Pedalare di notte, da soli, nel nulla, ha il suo fascino, ma in ogni istante ti conferma quanto l’essere umano sia legato al sole e alla sua energia vitale. I momenti di sconforto e le sensazioni spiacevoli non tardano ad arrivare, specialmente quando le persone di passaggio che incontro (raramente) sulla strada si stanno dirigendo verso le calde case per cenare con le famiglie e mi guardano con stupore passare come se avessero rivisto in diretta la scena di ET volare in bicicletta.
Supero facilmente le difficoltà mentali facendo qualche video col telefono, ma sopratutto leggendo i tantissimi messaggi di incitamento di tutti gli amici e le persone care, che ringrazio di cuore. Senza il loro supporto a distanza nei momenti di difficoltà, sarebbe stato tutto più difficile (se non impossibile!). Fortunatamente non sento freddo, nonostante l’umidità assassina e la temperatura prossima allo zero.
Non penso ai km che per fortuna scorrono (abbastanza) veloci, secondo le migliori previsioni cronometriche.
Nei pressi di Foligno, inizio a vedere il primo traguardo materializzarsi: mi fermo per una foto in piazza e sorrido tra me e me per la soddisfazione. A rallegrare la scena anche un gruppo di ragazzi in piazza che vestiti come alpinisti in ascesa sull’Everest, mi guardano basiti ed esclamano con il simpatico accento umbro: ” ma n’sendi freddo?”.

Una piccola crisi energetica proprio sul finale, ma alle 22 sono ad Assisi, sotto casa di Gianni che è pronto ad accogliermi a braccia aperte, facendomi dimenticare la fatica tra una chiacchiera e una davvero gradita cena DOP. Tempo di sistemare i pochi bagagli, una doccia calda e all’una sono al letto.
2/1/2020, Assisi, ore 1:00 a.m.
Ho concluso la mia prima tappa.
“Mi fermo solo un minuto, prima di addormentarmi, a riflettere.
Perchè sembra assurdo, ma quando si ha così tanto tempo per pensare, in realtà è difficile pensare, metterlo a fuoco un pensiero!
Mi era successo anche nelle gare di ultratrail: ore e ore in solitudine, a fare i conti con me stesso, con il cervello in continuo movimento.
Il flusso di pensieri scorre veloce su migliaia di argomenti, ma a posteriori la scatola dei ricordi lascia spazio esclusivamente alle emozioni, alle sensazioni, ai panorami, ai profumi.”
Mi fermo solo un minuto, prima di addormentarmi, a riflettere. E realizzo che fisicamente sono già abbastanza distrutto, ma che sono solo a un quarto del percorso. Dopo nemmeno sei ore sarò nuovamente in sella, da solo con me stesso.
Sarò in grado di farcela?
La seconda tappa prevista, Assisi-Modena, è la più dura: 300km, 2300m di dislivello positivo, un Appennino da attraversare e a seguire 110km di via Emilia, quasi tutta dritta, monotona e pianeggiante, fredda e umida, probabilmente da affrontare di notte una volta oltrepassato il valico del Monte Fumaiolo.
Come in tutte le attività di endurance, quando sei intorno a metà strada è la testa (più che il corpo) a chiederti il dazio: non vedi la fine avvicinarsi, ma sei già provato fisicamente e mentalmente da quanto fatto in precedenza (che di solito non è pochissimo, specie in gare-avventure “ultra”).
Cosa importante da segnalare: in quasi 900km e 4 giorni interi di sole splendente (compreso un week end) a pedalare su note vie battute da ciclisti, non ho incontrato un ciclista che sia uno sul mio percorso! Sfiga? Coincidenze?
Eppure nemmeno puzzavo troppo…!
A dire la verità, uno e un solo ciclista l’ho incontrato: un miraggio, durante la seconda tappa, in un momento di crisi nera dopo “solo” 70km dalla partenza.
Poco prima dell’inizio della vera salita del valico appenninico, incontro un uomo munito di abbigliamento tecnico, casco e occhiali in sella a una Specialized: “è proprio un ciclista!”, affermo tra me e me.
Pedaliamo fianco a fianco, scambiamo due chiacchiere, e ovviamente se può si mette anche in scia (si, lui a me!); ma la compagnia mi alza i livelli di energie e mi fa tornare la motivazione.
Quando chiedo quale sia il suo giro, lui esclama: “sto facendo un lungo da 120km, abito in Emilia Romagna!”. E per un secondo, preso dall’entusiasmo, penso che possa essere la volta buona che per un paio d’ore riesca ad avere una distrazione e un po’ di compagnia. Bene, nemmeno il tempo di crederci, che al primo bivio mi fa: “Io giro di qua, buon proseguimento e in bocca al lupo per la tua avventura!”
Mortacci! 10′ di compagnia, una ruota succhiata, e torno ad affrontare in solitudine la mia fatica.
La prendo a ridere.
Presto arriva l’Appennino, e i suoi paesaggi mozzafiato ad allontanare ogni segno di cedimento e crisi. Salgo bene, sono carico, mi riempio gli occhi di emozioni. Certo, sulla salita da 4km al 7% medio che mi porta al passo del Carnaio non riesco a dimenticare proprio bene la fatica!
Ma vado avanti, supero anche l’ultimo valico e sono in Romagna.
Come previsto è notte: sono le 18:00, fa freddo, pedalo da 200km e ne mancano ancora 140.
Mi viene in mente che Federico, caro amico e trail runner forlivese (che alleno da un paio d’anni ormai con grande soddisfazione) con zeppola romagnola ormai naturalizzato Tiburtino, possa essere nella sua città natale per le feste.
Lo chiamo, e così è. Mi ospita per un più stop a casa dei suoi genitori e “rimedio” un’altra sosta in piacevole compagnia: una gran ricarica di cibo (l’ospitalità Romagnola è di un livello eccelso!), sorrisi, amicizia e motivazione.

Alle 19 riparto da Forlì, alla volta di Modena: ancora 100km di pianura, 100km di via Emilia.
Pianura che non finisce mai. Ma vado avanti, focalizzato. Ragiono di città in città, di 20km in 20km.
E con molta fatica, pazienza, motivazione e difficoltà, alle 23:10 raggiungo l’obiettivo: casa di mia sorella a Modena.
La seconda tappa Assisi-Modena mi ha lasciato provato a livello fisico ma sopratutto mentale.
Dopo essere riuscito a distendermi al letto all’1 passata, la mattina successiva tra i preparativi e un po’ di pigrizia non riesco a montare in sella prima delle 9:00.
Già più di un’ora di ritardo in partenza rispetto alla tabella di marcia: e si tratta di affrontare 200km di pianura Padana, di una rettilinea e infinita via Emilia e ulteriori 100km vallonati che mi porteranno a Torino, dove si concluderà la mia terza tappa.
Poi finalmente ad attendermi le mie adorate montagne, il freddo, la neve, la salita, per la quarta e ultima tappa prevista del WUT. Per gli ultimi 150km sarò circondato, accompagnato e supportato da tutto ciò che più amo in natura: quando finalmente (forse) attraverserò il confine Francese dichiarando la “missione compiuta”.
Ma torniamo alla terza tappa: Modena-Torino: la più monotona. Parto con un po’ di ansia del ritardo accumulato in partenza, e annoiato dal pensiero di ciò che mi attende per l’ennesima lunghissima giornata.
La motivazione del giorno: arrivare più velocemente possibile a Torino da Margherì per festeggiare in allegria con gli amici Emiliano, Davide e Arianna, che saranno pronti ad accogliermi e a farmi compagnia nella missione di “piazza pulita” del bancone.
Le gambe girano meglio del previsto: mi sembra di stare più in forma di quando sono partito da casa il primo giorno.
I km scorrono veloci.
Ovviamente di sabato mattina nella patria del ciclismo, con una giornata di cielo terso, senza vento e temperatura nemmeno troppo fredda, non incontro nemmeno un ciclista per farmi compagnia qualche chilometro.
Tengo comunque una buona media (circa 26/27 km/h) e un ottimo wattaggio, alternando tratti seduto in sella a tratti in piedi sui pedali, dove ormai sono un maestro nelle guida e nella gestione dell’equilibrio nonostante i bagagli al seguito.
Ma presto sopraggiunge la notte e sono ancora lontano dalla meta.
Consulto le mappe, calcolo i tempi di percorrenza e con previsioni anche piuttosto ottimistiche mi rendo conto che non sarò a Torino prima delle 23:00.
Ci sono momenti in cui la follia, la motivazione, la determinazione e la passione di portare avanti il proprio obiettivo sono più forti della razionalità.
Ma questa volta non è così. Mi fermo a riflettere e rapidamente decido che deve essere l’amicizia ad avere precedenza, la razionalità a prendere il sopravvento: ho amici che mi attendono, per vedere i quali ho “escogitato” tutto questo, e non posso mancare all’appuntamento.
Così alle 19 sono alla stazione di Alessandria: con 200km percorsi e meno di 100km dall’obiettivo. Decido di salire sul treno Regionale per Torino, in compagnia della mia bici.
Alle 21:00 in punto, amareggiato e con il morale un po’ a terra, raggiungo gli altri in pizzeria. Ma giusto il tempo di una birra e una stretta di mano con gli amici, e torna subito il sorriso…e la consapevolezza di aver fatto la scelta giusta! “Infondo ce l’avrei fatta”, mi ripeto tra me e me: “era solo una questione di orari”; ne sono certo e consapevole, e non devo dimostrare a me stesso nulla di più a di quanto non sia già stato fatto.
Soddisfatto di una serata piacevole e divertente e di una grande mangiata di pizza “top level”, intorno a mezzanotte sono sotto le lenzuola.
Arriva in fretta la mattina successiva, di domenica 5 Gennaio: è tempo di ripartire.
Ultima tappa: motivazione alle stelle.
Decido di lasciare i bagagli a casa di Davide, dove ho dormito, e in meno di 10’ la mia Specialized torna a essere leggera come una piuma (rispetto ai giorni precedenti) e prontissima per affrontare con quel pizzico di “aggressività in più” i 2800m di dislivello positivo che mi separano dal confine Francese.
Fa freddo ma non troppo: altra giornata di sole splendente. Le gambe girano che è una meraviglia, complici anche l’adrenalina, la motivazione e l’entusiasmo di essere prossimi all’obiettivo.
Nei lunghi rettilinei che da Torino mi portano a Pinerolo, inizio ad ammirare la catena alpina in tutta la sua maestosità di cime innevate, in cui non vedo l’ora di perdermi.
Intorno alle 12:00 sono a Pinerolo.
Inizia la salita.
50km continui, i primi 30 abbastanza agevoli (un falsopiano costante al 3/5% di pendenza media), poi 10km più pendenti fino a Pragelato, a quota 1600m: inizia la neve, il silenzio, il freddo, i tornanti.
La salita impenna per gli ultimi 10km che portano da Pragelato a Sestriere, dove la pendenza media è circa 8% con punte intorno al 10/11%. Solo qualche piccolo cedimento a livello muscolare, che affronto quasi con piacere tanto sono entusiasta, e alle 15:00 sono in piazza a Sestrierè, a 2040m s.l.m.
Luogo di tanti ricordi delle settimane bianche con gli amici negli anni dell’università.
Delle corse serali in compagnia di Andrea e Daniele con temperature prossime a -10 gradi, immersi nel buio tra le strade in salita coperte di neve e ghiaccio: il fiato subito corto, le gambe stanche delle 8 ore sugli sci, ma l’entusiasmo di affrontare la fatica con la gratificazione e il sorriso che solo una grande passione può portare.
Quasi mi commuovo al pensiero di aver raggiunto con la sola forza delle mie gambe, ma sopratutto della mia testa e del mio cuore, un luogo così lontano da casa ma così importante nel mio libro dei ricordi.
Giusto il tempo di una crostatina cioccolato e lampone, una cioccolata calda nella miglior pasticceria di Sestriere, qualche foto di rito e si riparte.
Perchè la mia avventura non è (ancora) finita, seppur vicina all’epilogo.
10km di discesa di tornanti in ombra, gelida, fino a Cesana, per poi coprire gli ultimi 8km e 550m di dislivello positivo: i più duri del mio Winter Ultracycling Tour.
Ma l’euforia è alle stelle e l’adrenalina riempie il circolo sanguigno. Le gambe riprendono nuova vita e scatto sui pedali leggero come nei migliori allenamenti di qualità nella stagione agonistica.
Nemmeno il tempo di realizzare e sono di fronte a un cartello azzurro con una circonferenza di stelle gialle: ho raggiunto il confine Francese.
Sono le 17:00 di domenica 5 Gennaio 2020, il termometro segna -5 gradi Centigradi quando supero il confine Francese di Claviere: dopo 75h trascorse dalla mia partenza, di cui 35h30′ pedalate in sella alla mia fedele compagna di viaggio.
Non realizzo: con un sorriso a 50 denti e il cuore pieno di emozioni, mi godo il tramonto, i colori, il paesaggio, il gelo e la soddisfazione infinita! Ma ancora non riesco a concretizzare i pensieri.
Presto il freddo inizia a farsi sentire e decido di lanciarmi, con attenzione estrema, sulla gelida e innevata discesa che mi porta alla stazione ferroviaria di Oulx, dove finalmente posso salire sul treno di ritorno.
Non appena mi siedo al caldo del vagone, dopo settantasei ore di un viaggio concitato di corpo, mente e anima in dimensioni parallele, ho finalmente il tempo e l’opportunità di “fermarmi a pensare”.
E da qui, cominciano i ricordi.
Il vero valore di questa avventura. Quel valore che non riuscirei mai a trasmettere con le parole, tantomeno con il racconto più coinvolgente che fossi in grado di scrivere.
La parte più importante di una esperienza indimenticabile, unica e irripetibile.
L’ultimo racconto, ma non di una fine.
Di un inizio di un progetto ambizioso, che mi accompagnerà nei prossimi mesi insieme a Sandra.